
Un “Falstaff” molto discutibile è andato in scena al Teatro Carlo Felice a Genova.
Un “Falstaff” molto discutibile è andato in scena al Teatro Carlo Felice a Genova.
Lo spettacolo era particolarmente atteso in quanto segnava il debutto cittadino di un autorevole Falstaff quale è Ambrogio Maestri.
Ma l’artista non è bastato da solo a “salvare” una produzione deficitaria sul piano musicale e sotto l’aspetto registico. Sul podio dei complessi stabili del Teatro, Jordi Bernacer non ha saputo mantenere un corretto equilibrio fra la buca e il palcoscenico. L’orchestra verdiana qui è generosa e ai cantanti si richiede non solo di “cantare” correttamente, ma anche di “recitare”, di scandire con precisione la parola che mai come in quest’opera è funzionale alla drammaturgia teatrale.
Troppi sono stati gli squilibri ritmici e fonici. Se l’impostazione musicale, insomma, è mancata, la lettura registica ha lasciato non poche perplessità.
Damiano Michieletto, qui ripreso da Andrea Bernard, si è ispirato alla scenografia di Paolo Fantin (acquistata dal Carlo Felice dalla Scala) che ha riprodotto in maniera impeccabile un salone della Casa Verdi per musicisti di Milano. L’idea, suggestiva, era quella di far “recitare” “Falstaff” ad alcuni dei vecchi cantanti ospitati nella Casa di riposo. Per questo all’inizio prima che l’orchestra attacchi l’opera, si vede il salone con un po’ di persone sedute nelle poltrone e sui divani e una pianista che accenna vari temi verdiani. L’idea del teatro nel teatro non è nuova e va realizzata con molta prudenza. Se Michieletto fosse partito in questo modo e poi avesse spostato l’azione in un ideale teatro all’interno della casa di riposo, giocando sull’alternanza fra i due spazi, l’idea sarebbe stata funzionale. Ma così non è stato, tutta l’azione si è svolta in quel salone con tutti gli interpreti quasi costantemente in scena anche quando non previsti da Verdi e Boito. Una gran confusione che ha reso difficile la comprensione dell’opera.
Tralasciando elementi del libretto volutamente ignorati (il bicchier di vin caldo che non arriva all’inizio del terzo atto, prologo alla più straordinaria esaltazione del vino in musica), la scena finale ha lasciato stupefatti. Del bosco incantato, della magia, dell’ironia di Verdi e di Boito non è rimasto nulla: qualche piantina piazzata nel salone come in una recita scolastica, un rito funebre con tanto di fiori e terra gettati addosso a Falstaff coricato sul divano. Del cast si segnalano, accanto a Maestri, davvero autorevole e ironico di suo, Erika Grimaldi, simpatica Alice, Sara Mingardo (Quickly), Ernesto Petti (Ford). Completavano il cast Galeano Salas (Fenton), Blagoj Nakoski (Cajus), Oronzo d’Urso (Bardolfo), Luciano Leoni (Pistola), Caterina Sala (Nannetta) e Paola Giardina (Meg).