Mascherine chirurgiche pericolose per l’habitat marino
Da dispositivo salvavita a potenziale rischio di morte nella catena alimentare a causa del cattivo conferimento dei rifiuti da parte dell’uomo: è il salto che hanno fatto le mascherine chirurgiche e Ffp2 secondo uno studio dell’Università di Genova sulla diffusione delle microplastiche in mare illustrato a ‘Slow Fish 2023’ dall’oceonagrafo Marco Cappello.
I ricercatori da agosto 2022 a maggio 2023 hanno condotto un censimento visuale durante alcune ore di navigazione nel porto di Genova individuando 18 mascherine galleggianti di diverso tipo in diverse aree del porto.
“Nei primi mesi del progetto, appena dopo la fase più intensa della pandemia covid, le mascherine galleggianti erano più frequenti ma in numero ridotto, adesso invece, si vedono solo immediatamente dopo fenomeni di pioggia ma in numero maggiore, – spiega Cappello – perché nei periodi secchi le mascherine vengono disperse nell’ambiente e si accumulano lungo le strade e lungo gli alvei dei torrenti cittadini, e poi con le piogge e il dilavamento delle strade vengono portate al mare dalle acque dei torrenti”.
“Esistono due tipologie di microplastiche – sottolinea l’oceanografo -: quelle primarie che derivano dai micro granuli contenuti in molti prodotti del passato come scrub o dentifrici, quelle secondarie che derivano dalla rottura e dalla distruzione delle meso e macro plastiche che l’uomo butta nell’ambiente, come le mascherine costituite da polimeri plastici”.
L’Università di Genova ha condotto uno studio sulla galleggiabilità delle mascherine in mare: durante le prime settimane è garantita sebbene inizino ad accumularsi alghe sulla superficie. Dopo qualche mese tutte le mascherine galleggianti affondano a causa del peso dei piccoli crostacei che vi si insediano e da quella fase iniziano a diventare microplastiche secondarie a rischio ingresso nella catena alimentare umana.